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Il Pittore di Langa, di Fabrizio Borgio
È sempre un piacere leggere i romanzi di Fabrizio Borgio, autore eclettico e dai mille interessi, piuttosto riservato nel carattere, un po’ come tutti i piemontesi (almeno così si dice), ma che, quando comincia a parlare, che si tratti di letteratura, di arte, delle sue Langhe, dei suoi romanzi o di qualsiasi altro argomento, ti travolge come un fiume in piena e ti affascina per la sicurezza e la profondità di analisi.
“Il Pittore di Langa”, l’ultimo romanzo di Fabrizio, pur inserendosi, per certi aspetti, nell’alveo della tradizione del noir italiano, presenta alcune caratteristiche diverse rispetto ai romanzi precedenti con protagonista l’investigatore privato Giorgio Martinengo, giunto alla sua sesta avventura.
Prima di tutto, mancano l’omicidio e il sangue. L’unica immagine che si avvicina ad una macchia di sangue è la macchia di vino che, proprio nell’incipit del romanzo, si allarga piano piano sulla camicia di un personaggio, ma che più che una macchia di sangue assomiglia ad una macchia di Rorschach. Eh sì perché in” Il Pittore di Langa” l’indagine psicologica e introspettiva prende il posto di quella poliziesca, coinvolgendo in prima persona lo stesso Martinengo, che si trova a doversi confrontare con la propria storia personale e con alcuni aspetti della sua esistenza: la (mancata) paternità, i rapporti con la propria famiglia (già parzialmente eviscerati nel romanzo precedente, “Panni Sporchi per Martinengo”) e in particolare con il padre, con le donne, con l’arte. È tutto il mondo interiore di Martinengo ad essere messo in discussione questa volta e questo coinvolge anche la sua attività di investigatore privato, che in questa vicenda si riduce praticamente a “fare da balia” ad una ragazza di buona famiglia viziata ed egocentrica, Alice, rappresentazione simbolica della figlia che Martinengo non ha mai avuto e difficilmente potrà avere in futuro. Di contro, l’altra donna protagonista del romanzo, Raffaella, forse potrebbe essere finalmente “quella giusta”, dopo tante avventure passate, ma alla fine anche questa storia resta sospesa.
Quella che è veramente centrale al romanzo è la figura del padre. Qui l’autore dimostra di conoscere bene le dinamiche psichiche, consce e inconsce, che sottostanno ai conflitti tra figli e padri, specie se autoritari e “castranti” come il padre di Pietro Ghiraudo, il pittore, fratello di Raffaella e “amico” di Alice che, come ci viene spiegato fin dall’inizio del romanzo, si è suicidato in circostante poco chiare. E l’incontro di Martinengo con questa figura genitoriale severa e terribile costituisce per il nostro investigatore l’occasione per ripensare e rivivere il proprio rapporto con la figura paterna, che peraltro è presente in tutti i precedenti romanzi con protagonista Martinengo.
Il Pittore di Langa è sì un romanzo noir, per la sua atmosfera cupa e, a tratti, opprimente, ma è anche una specie di “Bildungsroman”, il romanzo in cui la personalità di Giorgio Martinengo raggiunge la piena maturità e consapevolezza del sé (forse per questo lo stesso autore ha annunciato l’intenzione di “lasciarlo momentaneamente da parte”, per passare a tutt’altro genere di narrazione?).
E questa maturità e consapevolezza si riflette anche nel linguaggio e nelle scelte lessicali, molto accurate e puntuali, che testimoniano di una ricerca approfondita del termine e della sfumatura più adatta ad esprimere un concetto, una sensazione o un pensiero dei protagonisti, o un paesaggio, descritto con un linguaggio alto, evocativo, che fa sentire il lettore “come se si trovasse lì”, ad ammirare gli stessi paesaggi e addirittura a percepire gli stessi odori e sapori che percepiscono i personaggi.
Purtroppo non è qui possibile esaminare approfonditamente tutti gli aspetti salienti di questo romanzo, che sono veramente tanti e variegati: l’ambientazione che questa volta spazia dall’Argentina, a Milano, al Lago Maggiore e, naturalmente, alle Langhe, il territorio in cui Fabrizio è nato e attualmente vive; la “piemontesità” dei suoi personaggi, che li rende unici, senza però renderli degli stereotipi; i rimandi più o meno espliciti alla letteratura italiana e straniera, non solo per le citazioni letterarie poste all’inizio di ciascun capitolo, ma anche per lo stile narrativo, di cui abbiamo parlato prima. E poi c’è l’arte, altra protagonista del racconto, profondamente intrecciata con l’ambiente e il territorio: forse non a caso, Ghiraudo si ispira al neo-primitivismo, un movimento artistico nato in Russia, che abbinava elementi moderni e contemporanei con la tradizione artistica popolare.
Come abbiamo accennato, l’autore ha fatto intendere di voler sospendere per un po’ il ciclo dei romanzi di Martinengo e partire per una nuova avventura. E noi lo seguiremo senz’altro.
Piera Scudeletti – Circolo Letterario 6×4
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