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Brexit: confusione e incertezze

“Riceviamo da uno dei fondatori di RecSando, Franco Oriti e volentieri pubblichiamo”

Il 23 giugno 2016 sara’ ricordata come una data storica per il Regno Unito, per l’Unione Europea (UE) e direi anche per il mondo intero, compresi gli abitanti del Sud Est Milano.
Quel giorno 51,9% dei britannici hanno votato a favore dell’uscita del Regno Unito dall’UE e, quindi, in favore della “Brexit”, anche se a vedere su youtube il monolgo di 15 minuti della giornalista Carole Cadwalladr si resta sbigottiti.
Da considerare anche che ha votato il 70% degli aventi diritto (percentuale alta rispetto alla loro media del 50% circa). Tra i giovani dai 18 ai 24 anni ha votato pero’ solo il 36% registrando una disaffezione dei giovani verso l’Europa o perlomeno un loro disinteresse alla politica in generale. Tra gli ultra 65enni ha votato l’80% segnando, a mio avviso, una diversita’ di opinione generazionale tra giovani e meno giovani.

Il 29 marzo 2017 il Regno Unito ha poi ufficialmente presentato la sua domanda in base all’articolo 50 del Trattato dell’Unione europeo di Lisbona per uscire due anni dopo, ossia il 29 marzo 2019, dall’UE.
Dal 2016 a oggi vi sono state trattative continue tra UE e UK per evitare una “hard brexit” o meglio una uscita senza accordo (no-deal) con conseguenze sconosciute ad ambo le parti (UE e UK) perche’ mai accaduto prima. Ancora oggi si sta trattando per una “soft brexit” per cercare di rendere indolore il distacco.
Ora attendiamo fiduciosi la prossima scadenza concordata del 31 ottobre 2019 con il dubbio, pero’, che questa data venga ancora superata con un nulla di fatto.

Nel frattempo, ci saranno le elezioni del Parlamento europeo, forse potrebbero esserci un secondo referendum britannico e, sicuramente elezioni politiche nazionali nei paesi singoli membri dell’UE che potrebbero innalzare la voglia di sovranismo, nazionalismo e localismo a discapito di riforme, unione e maggiore integrazione.

Siamo proprio certi che alcuni fenomeni (come migrazioni, terrorismo internazionale, cambiamenti climatici, sviluppo economico, ecc.) possano essere affrontati dai singoli paesi innalzando barriere e muri, dispiegando forze di polizia locali, innalzando dazi doganali, ecc.?
Eppure nonstante l’UK abbia in passato beneficiato di diverse clausole di “opting outs” all’interno dell’UE, ha, sia pure con una maggioranza risicata, deciso su una questione fondamentale vincolando anche le sue future generazioni.
L’UK sta pagando cara questa decisione di brexit (vedi, aziende che si trasferiscono, deprazzamento della sterlina del 15% circa, ecc.), e gia’ qualche giorno prima del referendum, il 16 giugno 2016 aveva registrato pure l’assassinio politico di Jo Cox, esponente di spicco a favore del remain.
Quanti britannici abbiano effettivamente capito a cosa si andava incontro votando SI per l’uscita dall’UE?

Come mai la patria di importanti personaggi britannici, come William Shakespere, nato nel 1564, sommo poeta e drammaturgo inglese, che poneva l’uomo e la sua intelligenza umana al centro e che si poneva domande sulla propria vita e sul proprio destino; di Philip Kerr, XI marchese di Lothian, detto Lord Lothian, nato nel 1882, che formulò un progetto per unire le colonie britanniche e di trasformarle in una federazione e autore del libro “Pacifism is not enough nor Patriotism either” (Londra, Oxford University Press, 1935) e, last but not least, di Winston Churchill, nato nel 1874, che nel 1925 plaudiva al Trattato di Locarno, dove il 1 dicembre i vari Capi di Stato e di Governo coniarono il motto “we met together, we spoke European” e che sanciva la riappacificazione tra Francia e Germania e il 19 settembre 1946 all’Universita’ di Zurigo affermava “esiste un rimedio che in pochi anni renderebbe tutta l’Europa libera e felice. Esso consiste nella ricostruzione della famiglia dei popoli europei, o in quanto più di essa riusciamo a ricostruire, e nel dotarla di una struttura che le permetta di vivere in pace, in sicurezza ed in libertà. Dobbiamo costruire una sorta di Stati Uniti d’Europa”, sia giunta a questa importante decisione di uscire, ipotecando le future generazioni inglesi ed europei e che oggi stia vivendo questo impasse e stato confusionale di instabilita’ politica che non ha precedenti nella storia inglese ne’ europea?
E’ vero, il Regno Unito e’ anche la patria di Margaret Thatcher, nata nel 1925, che e’ stata la piu’ scettica sull’UE ed euro e dove nel Galles il 53% ha votato per il “leave”.
Nel 2017 in un sondaggio il 45% della popolazione dell’Irlanda del Nord non si considerava ne’ leale alla Corona (i cosiddetti Unionisti) ne’ per una Irlanda unita (i cosiddetti Nazionalisti).    

Restano, quindi, ancora notevoli questioni irrisolti: per esempio, circa 6000 accordi da rinegoziare tra UK e UE, il trattamento giuridico della frontiera tra Irlanda del Nord e l’Irlanda (Eire), la questione irlandese dove nel 2016 il 56% aveva votato a favore del “remain”, la questione scozzese dove pure ha prevalso il “remain” con il 62% dei voti, la libera circolazione delle persone, servizi, merci e capitali, la gestione del futuro Spazio economico e dei dazi doganali tra i 27 paesi dell’UE e il Regno Unito (composta da Inghilterra, Galles, Scozia e Irlanda del Nord), il trattamento delle isole Jersey, Guernsey, Isola di Man e i vari territori d’oltremare e la partecipazione del Regno Unito alle elezioni del Parlamento europeo del 23-26 maggio 2019 con un nuovo partito “Brexit Party” di Nigel Farage appena costituito.
Cosa ci insegna gia’ oggi la Brexit? A mio parere, si comprende che in un mondo ormai interdipendente e globalizzato, le persone, merci, servizi e capitali risentirebbero di qualsiasi restrizione, limitazione e ostacolo alla loro libera circolazione. Certamente i popoli e i cittadini sono liberi di decidere il proprio futuro ma se il loro paese rinchiudendosi non dovesse essere poi autosufficiente almeno nei beni e servizi primari e essenziali e se i loro governi con la politica del “Take back control” e, aggiungo io, del “Us First” continueranno a trasmettere politiche decisionali di incertezze e di instabilità, credo che saranno inevitabili periodi di confusione e incertezze e l’economia in generale premierà i paesi più’ stabili e più sicuri.

Si dice (o perlomeno si diceva) che l’unione fa la forza e oggi, a mio avviso, i problemi continentali dell’Europa si possono affrontare se si resta uniti. Pare, invece, che oggi vada di moda essere alleati e uniti solo se si aizzano egoismi locali e nazionali e se si imputano colpe sempre agli altri su crisi economiche e incapacità politiche proprie.
Ora il Parlamento britannico dovrà decidere se restare europei o solamente britannici e la loro decisione riguardera’ inevitabilmente il futuro, anche gli abitanti del Sud Est Milano. Staremo a vedere!

Redazione RecSando – Franco Oriti
 

L’articolo 50 del Trattato dell’Unione europeo di Lisbona prevede:
“Clausola di recesso
L’articolo 50 del trattato sull’Unione europea prevede un meccanismo di recesso volontario e unilaterale di un paese dall’Unione europea (UE).
Il paese dell’UE che decide di recedere, deve notificare tale intenzione al Consiglio europeo, il quale presenta i suoi orientamenti per la conclusione di un accordo volto a definire le modalità del recesso di tale paese.
Tale accordo è concluso a nome dell’Unione europea (UE) dal Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata previa approvazione del Parlamento europeo.
I trattati cessano di essere applicabili al paese interessato a decorrere dalla data di entrata in vigore dell’accordo di recesso o due anni dopo la notifica del recesso. Il Consiglio può decidere di prolungare tale termine.
Qualsiasi Stato uscito dall’Unione può chiedere di aderirvi nuovamente, presentando una nuova procedura di adesione.”


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