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Coronavirus: Intervistiamo il Prof. Stefano Merigliano

Il valore aggiunto dell’informazione di N>O>IRecSando è sempre stato il territorio. Nel mondo di oggi, globalizzato e totalmente interconnesso, il discutere di ciò che ci accade accanto è davvero un plus spesso dimenticato. Ma viviamo giorni veramente difficili, nei quali l’informazione che ci giunge dall’altra parte del mondo può essere facilmente assimilata a quella della porta accanto.

Partendo da questo assunto, abbiamo ritenuto di compiere un’operazione importante andando a intervistare esperti e personalità che nella crisi sanitaria, economica, politica e sociale attuale hanno ognuna qualcosa da dire e da dare. Crediamo, sempre dicendolo modestamente, di esserci riusciti. Ma a Voi la parola finale. Buona lettura.

 

INTERVISTA  AL  PROF. STEFANO MERIGLIANO , PROFESSORE DI CHIRURGIA GENERALE II PRESSO L’UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA

DOMANDA:

1 ) Buongiorno Prof. Merigliano, Lei a buon dire può essere considerato il vero artefice di quel successo veneto nel contrasto all’epidemia causata dalla ‘malattia da nuovo CoronaVirus’, chiamata Covid-19 e provocata dal virus SARS-CoV-2. Una pandemia rivelatasi devastante per il nostro paese e sviluppatasi in esso non in maniera omogenea, bensì attraverso un’accentuata diversità regionale che ha visto le ricche regioni del Nord quali Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna come principali epicentri di diffusione del contagio. Da qui però prendono il via 3 differenti vicende che sarebbe bene analizzare nell’ottica di poter meglio comprendere cosa ha funzionato e cosa no, visto che in Italia la Sanità è gestita a livello regionale e che quindi si son manifestati approcci diversi nel contrasto a un nemico comune, che si è compreso essere stato fino a ora spietato e terribile. Ma forse anche per colpe ed errori ben precisi e riscontrabili, ne conviene?

RISPOSTA:

Io partirei da una considerazione che può sembrare banale quanto si vuole, ma che a mio avviso rispecchia ciò che è accaduto in Veneto e che invece non si è verificato in Lombardia: le regole per il contrasto alle epidemie non sono regole moderne, bensì sono regole molto antiche e ben codificate fin dall’800. Posso riassumerle in un modo soltanto, citando in successione ciò che si deve fare nei casi di scoperta di contagio, ovvero: identificare – isolare – contenere. Ed è proprio questo che abbiamo fatto nel Comune di Vo’ Euganeo fin dai primi momenti successivi alla scoperta del primo paziente Covid-19 del Veneto, individuato a meno di 48 ore da quello di Codogno, nel lodigiano. Dopo tale individuazione infatti il Comune di Vo’ è subito divenuto Zona Rossa ( anche qui come successo a Codogno nei giorni addietro ) e la struttura sanitaria di riferimento è stata individuata nell’Ospedale di Schiavonia. Tali procedure, e posso dirlo senza possibilità di essere smentito, sono state fondamentali per il contenimento della prima ondata del virus. Altresì, un’altra importantissima decisione è stata quella di chiudere agli studenti l’Università di Padova, un polo di studio e ricerca fondamentale per tutto il Veneto il quale fa sì che ogni giorno arrivino in stazione in centro città 60 mila persone. Bloccare da un momento all’altro quel flusso è stata una scelta che a posteriori possiamo definire vitale per la buona riuscita delle misure attuate. Tornando alla sua domanda, in Veneto ove è iniziata l’emergenza si è subito istituita una zona rossa, mentre in Lombardia, dopo aver immediatamente contenzionato Codogno, non si è stati egualmente reattivi e proattivi in altre zone, quali il bergamasco. E i successivi risultati di tale non scelta sono evidentemente sotto gli occhi di tutti.

DOMANDA:

2 ) La Sua riflessione ci porta a pensare che, se in ambito scientifico errare reca danni a volte irrecuperabili, anche nel campo della politica adottare una pratica sbagliata o, al contrario, attuare una non decisione, può rivelarsi altrettanto deleterio. E tale prospettiva ci sembra proprio quello che è accaduto in Lombardia e non è accaduto in Veneto. D’altro canto invece, la Lombardia ha seguito scrupolosamente l’indicazione pervenuta il 31 gennaio 2020 tramite Circolare ministeriale alle Regioni italiane dal Ministero della Salute. Quindi stavolta applicare alla lettera un’indicazione politica ha visto ancora una volta come risultato finale non centrare l’obiettivo prefissato ?

RISPOSTA:

La questione rimane proprio in questi termini. E’ vero, solitamente una Circolare ministeriale non si interpreta, ma si attua e però, io Le parlo di come è stata vista la stessa in Veneto, noi qui abbiano ritenuto che recasse in sé delle anomalie funzionali che andavano superate e lo abbiamo fatto. Debbo anche dire, per essere sinceri fino in fondo, che in Veneto una spinta fondamentale nella direzione auspicata è stata propugnata in prima persona dal Presidente Zaia, un politico che può sembrare molto diretto e sbrigativo e che però ha un fiuto e una costanza nei rapporti interpersonali difficilmente paragonabili ad altri decisori istituzionali che hanno avuto ruoli similari in tutta questa vicenda. In quella famigerata Circolare veniva tassativamente detto che le uniche persone da attenzionare erano quelle appartenenti espressamente a 2 categorie: chi era stato in Cina o chi aveva avuto rapporti interpersonali con coloro i quali erano stati in Cina. Per il resto, null’altro. E questo è ciò che ha valutato la regione Lombardia in maniera univoca. In Veneto invece, una volta venuti a conoscenza del primo caso nel comune di Vo’ Euganeo, siamo venuti meno, possiamo dire, alle 2 indicazioni precipue della circolare suddetta e abbiamo iniziato una campionatura a tappeto della popolazione potenzialmente interessata eseguendo tamponi in numero assai considerevole, operazione questa che non è stata fatta in Lombardia e ciò crediamo sia alla base delle successive modalità di contagio che si sono verificate in quella regione. Questo perché, mentre il Veneto ha subito iniziato a separare fisicamente le persone individuate come positive attraverso l’uso massiccio dei tamponi, in Lombardia questa condotta basica non è stata portata avanti proprio perché non vi era la certezza su chi fosse positivo e su chi non lo fosse. E visto che ora sappiamo che gli asintomatici ( quindi persone che non mostrano sintomi evidenti della malattia ) sono forse in numero 6 volte maggiore rispetto a chi è ammalato e i sintomi del Covid-19 li manifesta, questa statistica Le serve per meglio cogliere la drammatica sfumatura di promiscuità cui è andata incontro la popolazione lombarda. Un dato per concludere questo ragionamento: il Veneto ha una popolazione che è la metà di quella della Lombardia ma ha effettuato un numero più che doppio di tamponi rispetto a quella regione. Credo non vi sia null’altro da aggiungere.

DOMANDA:

3 ) Davvero impressionante il dato numerico che Lei ci segnala. Però forse le diversità tra le 2 regioni più importanti del Nord non finiscono qui. Mi riferisco al fatto che anche e soprattutto la gestione ospedaliera della malattia di Covid-19 è stata gestita con diversità d’approccio davvero evidenti e che palesemente saltano all’occhio fin da una prima osservazione. Ma realmente, come ci ha segnalato con forza un recentissimo studio della Business Harvard Review che è andato a comparare i sistemi sanitari di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, in uno spazio così ristretto di territorio si sono avute delle ricadute così enormemente differenti per ciò che concerne contagiati, ammalati e infine, purtroppo, deceduti ?

RISPOSTA:

Assolutamente sì e questo forse è, alla fine di tutto, la principale considerazione da fare. Vale a dire che i risultati che si palesano in quell’importante studio da Lei testé citato per formulare la sua domanda, viene espressamente segnalato che in Lombardia abbiamo assistito a quel disastro perché come argine alla malattia è stato utilizzato l’impiego massiccio degli ospedali, i quali visto il regime pandemico in atto non erano pronti per sopportare quella prova estrema e questo perché in Lombardia quel presidio territoriale che è la medicina del territorio possiamo affermare non sia più quasi presente. Il sistema misto pubblico – privato della Lombardia ha negli anni progressivamente spostato il target di intervento verso chi ha bisogno di cure dal territorio e dalla prossimità locale verso gli ospedali, che sono da intendersi però come luoghi di eccellenza ( e in Lombardia lo sono certamente e senza alcuna ombra di dubbio ) ma che nella pratica medica vanno utilizzati per quello che sono, cioè l’ultimo se non ultimissimo baluardo da frapporre al tracollo e non il primo come è stato fatto. In ospedale si deve giungere quando, parlando brutalmente, si è in una condizione finale della malattia e non subito come è avvenuto come conseguenza del fatto che sul territorio i presidi o sono stati chiusi o sono pochissimi e sono iper sollecitati ( mi riferisco per esempio ai medici di base, il cui numero negli anni è andato scemando senza soluzione di continuità ). Inoltre in Lombardia siamo sicuri che sia stato chiesto agli ospedali privati convenzionati col pubblico di essere utilizzati come quelli totalmente pubblici ? Non lo so, me lo chiedo, bisognerebbe indagare e venirlo a sapere. In Veneto, ove il regime pubblico – privato è similare a quello lombardo, questo è avvenuto e soprattutto è avvenuto che alcuni ospedali venissero subito trasformati espressamente in ospedali Covid, senza possibilità alcuna di commistione tra gestione della pandemia in atto e di altre patologie a essa invece non correlate. Perché anche durante la crisi da CoronaVirus ci sono patologie non legate al virus stesso ( che attualmente totalitarizza ogni discorso medico ) che vanno curate, lo sa ? E questo in Veneto è accaduto, cito nuovamente l’ospedale di Schiavonia, divenuto in un lasso di tempo brevissimo ospedale Covid, mentre altri ospedali hanno continuato le prassi mediche per le quali sono strutturati. In Lombardia invece a questo proposito si sono riscontrate delle anomalie funzionali che quasi mettono i brividi: attraverso un’ordinanza che apre interrogativi serissimi sulla liceità della stessa, sono stati fatti ricoverare i malati di Covid-19 nelle RSA ( residenze per anziani ), cioè si sono commistionati in un mix deleterio i grandi vecchi con i portatori in evidenza della malattia da CoronaVirus. Il risultato è stato quella mattanza che tutti abbiamo ancora sotto i nostri occhi e soprattutto nel cuore. Inoltre in Veneto subito il giorno successivo alla circolare del 31 gennaio 2020, vale a dire l’1 febbraio scorso, è iniziato un processo di approvvigionamento di DPI ( i cosiddetti dispositivi di protezione individuali e con essi intendo le mascherine, i tamponi, i guanti in lattice, ecc. ) che ci ha portati ad avere scorte a sufficienza già il 20 febbraio 2020, vale a dire ancora prima del primo caso verificatosi a Codogno. In Emilia Romagna poi, per concludere il discorso intrapreso, la metodologia sanitaria è ancora differente, in quella regione, per tradizione e cultura, la medicina del territorio non è stata smantella ed ecco che la gestione della pandemia possiamo dire sia stata affrontata dal basso e il risultato è stato anche lì non solo una minima ospedalizzazione ma altresì una buona cura erogata a livello capillare fin dai presidi sparsi sul territorio. Con questo io spero e credo di avere risposto compiutamente alle domande che mi sono state poste e concludo con un auspicio da professore universitario: voglio tornare al più presto a fare lezione ai miei studenti, a mostrare loro dal vivo i casi clinici, che poi sono il sale della nostra professione medica.

Redazione N>O>I – Network Organizzazione Innovazione – FM-Staff


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