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Giovanni Falcone, ricordare per ripartire

Il 23 maggio ricorreva il 22esimo anniversario della strage di Capaci. 57 giorni dopo la Sicilia e l’Italia intera si macchieranno di sangue con la strage di via D’Amelio. In questi due, tragici, episodi della storia italiana persero la vita i magistrati Giovanni Falcone e  Paolo Borsellino, punte di diamante della lotta contro la mafia.

E ’difficile trattare di questi personaggi senza cadere nel banale, senza incappare in quelle frasi di circostanza che sono sempre in primo piano nelle commemorazioni. Ricordare vuol dire proseguire la strada che avevano inaugurato. Le celebrazioni vacue, che lasciano l’amaro in bocca per qualche momento e non sono in grado di cambiare il nostro sguardo nei confronti della vita, son inutili.  Stravolgere il nostro modo di approcciarci alla vita, questo solo può essere l’obiettivo di Ricordare. Falcone e Borsellino non furono solamente esempi di umanità non corrotta e di lotta all’illegalità, ma sono stati l’emblema del coraggio, dell’abnegazione, dell’amore per una comunità. “Ci sono stati uomini che hanno continuato nonostante intorno fosse tutto bruciato, perché in fondo questa vita non ha significato se hai paura di una bomba o di un fucile puntato”. 

Questa frase è stata tratta dalla canzone, risalente a qualche anno fa, di Fabrizio Moro; il cantante ha qui saputo cogliere realmente la natura e il messaggio di queste due icone. Curiosamente è omonimo per cognome a Tommaso Moro scrittore e politico inglese dapprima collaboratore di Enrico VIII, poi caduto in disgrazia di fronte al sovrano perché colpevole di essere cattolico. Costui scrisse un’opera chiamata Utopia. Perché dovrebbe essere pertinente? Perché Falcone e Borsellino ci hanno insegnato che ciò che noi chiamiamo utopia, è possibile. Anzi, hanno insegnato, che ciò noi definiamo Utopia, è ciò che non abbiamo il coraggio di compiere. La mancanza di coraggio o l’assuefazione alla disfatta ci rende inabili. Non volevano essere chiamati eroi. Perché l’eroe è qualcuno al di là della realtà, qualcuno che diviene un vessillo. Troppo spesso trasformando le persone in icone dimentichiamo chi erano. Avevano paura. Erano coscienti di andare in contro a una triste sorte. Eppure hanno proseguito per la loro strada. Avevano la coscienza di essere piccoli, come tutti gli uomini, ma proprio per questo sapevano di avere la capacità e la possibilità di essere parte di un qualcosa di grande. La stessa cieca fiducia e coscienza che può avere avuto un partigiano nella lotta impari e cruenta contro il terribile invasore. La strada non è detonata a Capaci, ma quando dopo la morte di Borsellino, si disse che non vi era più speranza. Quella è stata la più grande sconfitta del popolo italiano in tempi recenti. E’ come se settant’anni fa ci si fosse arresi all’oppressione nazista. Se si fosse sempre fatto così dalla morte di Pio La Torre o  del  generale Carlo Alberto Dalla Chiesa oppure, ancora prima,  dall’assassinio di Peppino Impastato , Falcone e Borsellino sarebbero restati nell’ombra e soprattutto  non sarebbero morti. Ma hanno deciso di dare la vita per noi. E non si possono sopportare tutti coloro che, soprattutto in questi giorni si dilettano nel pronunciare frasi come “Non dimentichiamo”, “Gli uomini passano, le idee restano” in televisione, sui giornali, sui social network. E’ tutto così vacuo.

Le stragi di mafia sono efferate, cruente, inumane, ma sono il segno che la lotta prosegue. Quando la mafia è ancora in piedi, ma le stragi non ci sono più, vuol dire che lo spirito è morto . E non è colpa della mafia, è colpa nostra.

Redazione RecSando: Alessandro Sicignano
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