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Greenpeace condannata negli USA: un attacco alla libertà di protesta

Un verdetto che fa tremare il diritto alla protesta pacifica. Mercoledì 19 marzo, una giuria della Contea di Morton, in Nord Dakota, ha condannato Greenpeace a un risarcimento di oltre 660 milioni di dollari. La causa era stata intentata dalla compagnia petrolifera Energy Transfer, operatore dell’oleodotto Dakota Access, che accusa l’organizzazione ambientalista di aver orchestrato le proteste del 2016 guidate dalle comunità indigene di Standing Rock.
Si tratta di una decisione senza precedenti, che rischia di creare un pericoloso precedente per i movimenti ambientalisti e le organizzazioni impegnate nella difesa del pianeta. La strategia dietro questo processo sembra chiara: usare il sistema giudiziario per mettere a tacere il dissenso e soffocare economicamente chi si oppone ai grandi interessi delle multinazionali fossili.
Un caso di SLAPP: la giustizia usata come bavaglio
L’azione legale di Energy Transfer rientra nella categoria delle cosiddette SLAPP (Strategic Lawsuits Against Public Participation), cause temerarie intentate con il preciso scopo di scoraggiare la partecipazione pubblica e mettere sotto pressione finanziaria le ONG e gli attivisti. Negli ultimi anni, diverse multinazionali petrolifere hanno adottato questa strategia: Shell, TotalEnergies ed ENI hanno intentato cause simili contro Greenpeace in vari paesi. In alcuni casi, Greenpeace è riuscita a difendersi con successo, come in Francia contro TotalEnergies nel 2024 o nel Regno Unito contro Shell.
Tuttavia, la battaglia è tutt’altro che finita. In Italia, la filiale nazionale di Greenpeace e l’associazione ReCommon dovranno affrontare nei prossimi mesi una SLAPP intentata da ENI. Si tratta di un chiaro segnale di come le grandi compagnie stiano intensificando il loro attacco alle organizzazioni ambientaliste.
Greenpeace non si arrende: l'appello e la controffensiva legale
Nonostante la condanna, Greenpeace non ha intenzione di fermarsi. L’organizzazione ha annunciato che presenterà appello contro il verdetto e, al tempo stesso, ha avviato una propria azione legale nei Paesi Bassi contro Energy Transfer, basandosi sulla Direttiva anti-SLAPP dell’Unione Europea.
“Energy Transfer non ha scritto l’ultima parola su di noi. Abbiamo appena iniziato la nostra battaglia legale contro i suoi tentativi di soffocare la libertà di parola e la protesta pacifica”, ha dichiarato Kristin Casper, consigliere generale di Greenpeace International.
Un futuro incerto per il diritto alla protesta
La sentenza del Nord Dakota potrebbe avere ripercussioni pesanti su tutti i movimenti di protesta ambientale. Se le grandi compagnie potranno usare i tribunali per intimidire e mettere in difficoltà economica le ONG, il diritto alla protesta pacifica rischia di essere gravemente compromesso.
Greenpeace lancia un appello a cittadini e istituzioni per difendere il diritto alla libertà di espressione e di dissenso. “Vogliamo dimostrare che quando cercano di zittire una voce, se ne alzano altre cento!”, afferma l’organizzazione, invitando i sostenitori a firmare la petizione per supportare la causa.
In un mondo sempre più minacciato dalla crisi climatica, la battaglia per la libertà di protesta diventa una battaglia per il futuro del pianeta.
Redazione N>O>I

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