IDEE PER ROCCA BRIVIO
Quando storia e materia diventano strumenti per realizzare una nuova idea di futuro
Rocca Brivio Sforza: di cosa parliamo ?
Si tratta di un immobile di interesse storico e architettonico risalente in parte al 1300, denominato “complesso monumentale di Rocca Brivio Sforza “, soggetto a tutela da parte della sovrintendenza, adibito a sede di mostre ed esposizioni / conferenze, altresì con uffici, ubicata in maniera precipua nel Comune di San Giuliano Milanese sulla strada statale SS9 denominata via Emilia che da San Donato Milanese porta a San Giuliano sull’asse Milano – Lodi.
La struttura è in capo a Rocca Brivio Srl, in liquidazione partecipata, con queste percentuali:
Liquidatore della società è l’Avv. Katja Besseghini nominata dal 10-4-2015
ALCUNE PECULEARIETÀ – L’ AMBIENTE
Rocca Brivio deve gran parte del suo fascino e della sua importanza alla posizione in cui si trova, poco baricentrica rispetto alla distribuzione demografica della popolazione del Sud Est Milano è in realtà assolutamente centrale dal punto di vista geografico, storico, paesaggistico, culturale, ambientale.
É al centro di una plaga agricola che sente le spinte delle vicine aree urbanizzate, a poche centinaia di metri dagli assi di penetrazione nell’area urbanizzata della metropoli e al centro di un residuo, ma vitale, reticolo di aree naturali. Dal punto di vista ambientale è bene osservare che Rocca Brivio si trova al centro di varie confluenze di corsi d’acqua: la Vettabbia, la Roggia Nuova e a poche centinaia di metri del Lambro.
I corsi d’acqua nella pianura lombarda sono un formidabile strumento di connessione e continuità ecologica. L’area è ubicata all’interno della rete ecologica Regionale che rappresenta uno strumento orientativo per la pianificazione regionale e locale.
La ricchezza della flora e della fauna della Rocca ha trovato sostegno dalla cura con cui in questi anni la Vivai Pro Natura ha messo in dimora molte centinaia di alberi e cespugli molto dei quali hanno attecchito e che caratterizzano la flora dei dintorni della Rocca.
Dal punto di vista botanico dobbiamo registrare la presenza a pochi metri di distanza di due specie particolarmente rare nel Sud Milano trattasi di piante erbacee fra cui la felce sempre verde (la Coridalis cava e la Phjllits scolopendrium) oltre a un’ampia corte di presenze vegetali più comuni.
Richiami Storici
I primi riferimenti storici risalgono al 1264 presumibile una fortificazione a guardia di un punto caratteristico strategico caratterizzato dalla confluenza della Vettabbia nel Lambro e dalla presenza di un confine politico tra Milano e Lodi punto centrale per le vicende storiche di questo territorio.
I Marchesi Brivio sono stati gli unici proprietari dalla sua ricostruzione in forma di grandioso palazzo realizzata nel 1672 ad opera di Luigi Brivio.
Da quel momento l’attività è legata alla vita della casata
La struttura nel tempo ha subito incurie e degrado che non si è riusciti a fermare, mulini, edifici di servizio, depositi e accessi sono andati perduti.
Il corpo centrale è stato conservato con enormi sforzi e significativi investimenti, tuttavia la cintura muraria in cattive condizioni ed un giardino interno necessitano di un doveroso recupero, in ogni caso pur nei limiti la Rocca si presenta fruibile e utilizzabile.
I limiti fanno riferimento essenzialmente alle verifiche effettuate dai VV.FF. sia per le attività primarie che secondarie ai sensi DM 16-2-82
Sono infatti imposti dei limiti sull’utilizzo della struttura, di fatto per la Rocca esiste un progetto approvato dai VV.FF. di Milano ( protocollo n. 355218 del 17-11-2009 ), che ne definisce i limiti di utilizzo.
Occorre ricordare inoltre che risulta impossibile il rispetto delle norme oggi vigenti in materia antincendio per cui sono state chieste delle deroghe in relazione a problemi legati alla ampiezza delle scale, alle vie di esodo e alla natura dei materiali lignei.
I progetti approntati intendono mantenere le attuali destinazioni per i piani terra e primo, con cambio di destinazione d’uso per i piani terra e primo piano, con cambio di destinazione d’uso del sottotetto da magazzino in ufficio di persone.
Questi i limiti di affollamento massimo definiti per area
In concreto pur essendo la struttura coperta per oltre 3.300 mq. presenta dei limiti di presenza di persone con un numero massimo di circa 300, suddivise in più locali, limite imposto dai Vigili del Fuoco di Milano.
Queste limitazioni, impongono un uso limitato della struttura.
Programma – Restauri struttura patrimoniale
Il programma dei restauri è stato approvato dalla stazione appaltante in data 15-10-2012 e prevedono un impegno di spesa di E.1.697.477
I lavori previsti dal programma riguardano:
Realizzazione di impianti ( di condizionamento e riscaldamento , idrico sanitario e reti di scarico e di antincendio.
Manca un programma di lavori per completare la ristrutturazione del sito che riguardano:
- le mura di cinta
- i vari manufatti, compreso il palazzo
- la cura del verde all’interno e all’esterno (flora e fauna)
STRUTTURA PATRIMONIALE DELLA SOCIETA QUESTI I DATI DI SINTESI AL 31-12-2018 ( ultimi dati disponibili )
Proposta in atto – Il Bando per una Fondazione
Dopo anni di vari tentativi andati a vuoto alla fine del 2019 è stata avviata un’azione finalizzata a trovare una cordata di soggetti pubblici e privati in grado di sviluppare le potenzialità della struttura partendo da una serie di valori dal punto di vista sociale, culturale e ambientale, con l’obiettivo di migliorare e valorizzare il Complesso monumentale
Prospettive future
Oggi le alternative possibili sono:
- Ripetere la gara relativa al bando
- Vendere la struttura ai privati cosi come hanno manifestato i Soci
- Convivere in una sorta di condominio fra i Soci senza alcuna possibilità di gestione e rilancio per il sostanziale disinteresse delle amministrazioni evidenziata in questi 20 anni, per l’assenza di progetti e di ricerca di finanziamenti
È complicato non capire che questo territorio è alla ricerca da sempre di una identità, non occuparsi di aree verdi e agricole in tempi di cambiamenti climatici (in concreto di ciò che ci è vicino e che ci appartiene) vuol dire non avere fiducia nel futuro preferendo continuare a vivere secondo le vecchie logiche.
La scelta di vendere Rocca Brivio, di staccarla definitivamente dal ruolo faticosamente conquistato dagli ambientalisti di “sentinella del Parco del Sud“ e delle aree a verde tra San Giuliano Milanese e Melegnano, ( le uniche con un minimo di continuità sull’asse della Via Emilia da Milano a Melegnano ) è da considerare una scelta sbagliata e dannosa.
Ricordiamo che la Rocca non deve essere considerato come un peso per le risorse comunali, ma come opportunità da cogliere, infatti il potenziale ricavabile dai risultati di una adeguata, salvaguardia e valorizzazione di un tale complesso va ben oltre la dimensione strettamente locale in cui il bene è compreso.
Allora cosa fare ?
Inserire la struttura Rocca Brivio in un Ecomuseo, una istituzione regionale che sostiene l’attività di tali strutture, al fine di conservare e rinnovare l’eredità culturale vivente dei territori e delle popolazioni che le abitano, di favorire processi di sviluppo sostenibile a partire dal patrimonio locale , di salvaguardare i paesaggi tipici lombardi e di valorizzare la diversità culturale dei luoghi. L’Ecomuseo favorisce inoltre lo sviluppo della attività in rete e l’utilizzo di risorse della unione Europea , nazionali e private a sostegno della propria attività
Dove inserire Rocca Brivio ?
La soluzione è a portata di mano, occorre inserire la struttura “ Rocca Brivio “nell’Ecomuseo della Vettabbia e dei Fontanili costituito con atto notarile il 21-12-2019 ed attualmente in attesa di riconoscimento regionale (legge n 13 /2007).
Sostenendo questa prospettiva di inserimento di Rocca Brivio Sforza nell’ecomuseo, [mappa ecomuseo], tutto il territorio del sud est Milano, ne gioverebbe, grazie al forte impatto storico del luogo, vicino tra le altre cose a Cascina Santa Brera.
In questo modo riceverebbe la giusta valorizzazione grazie ai finanziamenti della Regione, della comunità europea, degli sponsor, che insieme ne permetterebbero la salvaguardia e la tutela, inserendola in un più ampio contesto di connessione con tutti i luoghi “toccati” dalla Vettabbia.
Perché Vettabbia o Canale Vettabbia ?
La Vettabbia è un canale agricolo navigabile che nasce nel sottosuolo di Milano all’incrocio tra via Santa Croce e via Vettabbia che uscendo dall’ambito comunale milanese (il Naviglio Vettabbia) attraversa il territorio ed il centro abitato di San Donato Milanese e di San Giuliano Milanese sul quale incontra l’Abbazia di Viboldone.
A Rocca Brivio la Vettabbia sfocia poi nel cavo Redefossi a San Giuliano Milanese.
I luoghi rientrano in un percorso chiamato “la via del Verde” che partendo dal Parco delle Basiliche a Milano consente di giungere a Melegnano attraversando l’intera valle.
Ecco quindi, le ragioni di una scelta.
Credo che per Rocca Brivio esistano non solo le condizioni geografiche per la sua possibile appartenenza all’Ecomuseo della Vettabbia ma anche tutte le condizioni previste per la partecipazione a un Ecomuseo.
- Il suo percorso narrativo
- Consapevolezza sulle potenzialità del territorio
- Possibilità di definire attività promozionali e di eventi sociali
- Attirare l’interesse di Progetti anche di altri comuni
- Attirare l’interesse di associazioni private
- Definizione di un modello per la valorizzazione del territorio
- Raccontare il territorio del Sud Est Milano
- Valorizzare i luoghi, la cultura, le tradizioni
- Mantenere la memoria attraverso percorsi e strumenti innovativi
- Coinvolgere le istituzioni e la cittadinanza per promuovere il territorio
- Creazione di percorsi naturalistici, ecomuseali, ciclopedonali, circuiti turistici
- Percorsi didattici, laboratori, green job e esercizi commerciali
Quale il possibile utilizzo di Rocca Brivio ?
Il bisogno e le richieste di spazi funzionali non mancano possono tuttavia essere ipotizzati alcuni utilizzi indicativi non ponendo alcun limite avendo riferimento ai luoghi e alla natura della struttura:
- La sede dell’Ecomuseo della Vettabbia e dei Fontanili
- La sede del museo di storia locale
- La sede della civiltà contadina
- La casa delle Associazioni del Sud Est
- Centro parco Agricolo Sud Milano
- Oasi naturalistica basata sugli spazi verdi ( Pro Natura )
- Ripristino del Giardino all’Italiana
- Realizzare un piccolo orto botanico
- Punto di ristoro
- Attività ludiche e ricreative all’aperto
- Conservazione e insegnamento dei vecchi mestieri
- Officina riparazione biciclette nel piano di potenziamento della rete ciclabile del Sud Milano
Sede di mostre d’arte e di incontri culturali
Partendo da alcune semplici considerazioni:
- I Comuni non sono in condizione di gestire una realtà come Rocca Brivio che richiede progettualità, cura e tante risorse per cui è giusto che passino la mano
- Vendere la struttura a privati, un patrimonio d’arte, di storia per fini speculativi è un delitto culturale
La allocazione ottimale non può che essere l’inserimento della struttura in un Ecomuseo, una istituzione nata dalla regione per valorizzare e salvaguardare i beni “preziosi “dal degrado cercando di curarli e valorizzarli ponendoli a disposizione di tutti coinvolgendo Enti pubblici, privati e associazioni del terzo settore.
La scelta poi di inserire la struttura all’interno dell’Ecomuseo della Vettabbia e dei Fontanili ci appare è appropriata poiché la sua allocazione” fisica “è all’interno dell’Ecomuseo e trova la sua giusta collocazione in un contesto culturale, storico ed ecologico adeguato, la scelta poi che la Rocca possa diventare la sede dell’Ecomuseo ne rappresenta una ulteriore valorizzazione.
Per consentire ai cittadini del Sud Est Milano di avere una visione di insieme del bene, è nostra intenzione realizzare due eventi ben distinti all’ interno di Rocca Brivio:
– Entro fine settembre (domenica 27 settembre 2020) Rocca Brivio Sforza aperta al pubblico normale;
– Entro il 18 ottobre 2020 (domenica) per gli operatori istituzionali e i privati.
Approfondimenti: L’ importanza e il ruolo di un Ecomuseo Territoriale
Ma che cosa sono esattamente gli ecomusei e perché hanno un ruolo fondamentale per il territorio?
Riportiamo questo interessante articolo di Giulia Carletti
La parola ne unisce due. Una è eco (da oikos, “casa” o anche “ambiente) e l’altra è museo, luogo adibito, secondo la definizione dell’International Council of Museums (ICOM), alla libera fruizione, studio e ricerca sulle testimonianze materiali ed immateriali dell’uomo e del suo ambiente, acquisendole, conservandole, comunicandole e esponendole “per scopi di studio, educazione e diletto”.Secondo il Documento strategico degli ecomusei italiani: gli ecomusei si configurano come processi partecipati di riconoscimento, cura e gestione del patrimonio culturale locale al fine di favorire uno sviluppo sociale, ambientale ed economico sostenibile; gli ecomusei sono identità progettuali che si propongono di mettere in relazione usi, tecniche, colture, produzioni, risorse di un ambito territoriale omogeneo con i beni culturali che vi sono contenuti; gli ecomusei sono percorsi di crescita culturale delle comunità locali, creativi e inclusivi, fondati sulla partecipazione attiva degli abitanti e la collaborazione di enti e associazioni.
Le prime sperimentazioni di ecomusei risalgono alla fine degli anni Settanta, come approdo finale di quel nuovo modo di pensare tali istituzioni che aveva assunto il nome di Nouvelle Mousélogie. Maurizio Maggi, uno dei teorici italiani, vede nel recente fenomeno di crescita di queste realtà “un movimento di riscoperta autentico della cultura locale, creativo e finalizzato alla conservazione della diversità e che muove dalla riscoperta dell’identità come reazione alla standardizzazione culturale”. Tra le parole chiave di un ecomuseo, infatti, ce ne sono soprattutto due: partecipazione e diffusione. A differenza del museo tradizionale, l’ecomuseo è un sito senz’altro meno istituzionalizzato, più sperimentale, che si incentra tutto sulla nozione di patrimonio come bene diffuso (materiale e non) e che ha alle spalle un grandissimo lavoro di coinvolgimento della cittadinanza. Il punto di arrivo di un ecomuseo è quindi sovrapporre territorio, contesto, conoscenza comune e comunità di riferimento in un unico insieme diversificato. Per gli ecomusei e i musei di comunità il problema di come attrarre pubblico non esiste, oppure è di poco conto. Inventario partecipato, mappe di collettività, porta a porta sono tutti elementi tipici degli ecomusei e dei musei di comunità, in cui le persone e gli abitanti di un determinato territorio non entrano semplicemente “in contatto” con il loro patrimonio, ma contribuiscono a dargli forma, a costruirlo, ad interpretarlo e ad esporlo.
È evidente come queste forme museali incarnino bene il concetto di sostenibilità nella cultura. “La presenza della natura nella maggior parte degli ecomusei e dei musei di comunità fa affidamento esclusivamente sulle materie prime e sull’energia potenziale che fornisce l’ambiente”, scrive Peter Davis, professore emerito di Museologia della School of Arts and Cultures della Newcastle University, facendo riferimento anche al Man and the Biosphere Programmes (MAB) dell’UNESCO.
In Italia, nel 1995 il Piemonte si è dotato, prima Regione in Italia, di una legge di istituzione degli ecomusei (L.R. 31/95 “Istituzione di Ecomusei del Piemonte”) che ne garantisce istituzione da parte del Consiglio Regionale a seguito della valutazione dei progetti effettuata dall’apposito Comitato Scientifico e su proposta della Giunta Regionale. Nel 2007 viene pubblicata la Carta di Catania sulla definizione di ecomuseo e delle sue pratiche. Nel 2016, nell’ambito della 24ª Conferenza Generale ICOM “Musei e paesaggio culturale” di Milano, si è svolto il primo Forum di ecomusei e musei comunitari dai quali esiti è nata l’idea della stesura di una Carta di cooperazione di Milano. Inoltre, all’inizio del 2017 è nata DROPS, una piattaforma mondiale per gli ecomusei e i musei di comunità (incluse le loro reti esistenti o ancora da realizzare e quelle ONG attive sul tema del patrimonio e del paesaggio) con l’obiettivo di “collegare tutti gli ecomusei e le reti regionali e nazionali di tutti gli ecomusei e i musei di comunità, esistenti o ancora da fondare, con le associazioni che lavorano nell’ambito del patrimonio e del paesaggio”.
Lo spazio del bene comune, sotto la cui accezione individuiamo il museo (in quanto bene non escludibile e il cui accesso dovrebbe essere garantito a tutti) appare qui ideale per costruire una piattaforma di governance collaborativa, basata sul reciproco e simultaneo impegno tra e di amministrazioni, cittadini, cooperative di comunità, associazioni, organizzazioni del terzo settore, etc.
C’è da dire che il dibattito su legame tra territorio, comunità e musei ha senz’altro coinvolto varie realtà internazionali, recentemente. Ma già nel 1972, periodo in cui i musei conoscevano un periodo molto proficuo, moltiplicandosi, specializzandosi e richiamando forte attenzione mediatica, aveva luogo a Santiago del Cile una Conferenza dell’ICOM che mise in luce da una parte la centralità del visitatore e come esso debba avere un “ruolo attivo e partecipativo” e dall’altra come il museo debba divenire un “attore sociale” a tutti gli effetti, delineando così un progetto di museo chiamato “museo integral”. Nel 2005, poi, la Convenzione di Faro stava definendo il patrimonio come “un insieme di risorse ereditate dal passato che le popolazioni identificano, indipendentemente da chi ne detenga la proprietà, come riflesso ed espressione dei loro valori, credenze, conoscenze e tradizioni, in continua evoluzione” (art. 2), mentre si rafforzava il concetto di responsabilità personale e collettiva (art. 4).
Nel dicembre del 2018, l’OCSE e L’ICOM lanciano Culture and Local Development: Maximising the Impact – Guide for Local Governments, Communities and Museums (2019) uno strumento nato per supportare le amministrazioni, i musei e le associazioni locali nell’individuazione di un’agenda per lo sviluppo locale sostenibile, al fine di“valorizzare il ruolo dei musei nella riqualificazione urbana e nello sviluppo della comunità”. Nel settembre del 2019 si tiene invece la 25esima Conferenza Generale dell’ICOM a Kyoto, Giappone, intitolata “Curating Sustainable Futures Through Museums”. Sempre a Kyoto, nella 34esima Assemblea Generale di ICOM, è stata adottata come Prima Risoluzione, quella di garantire sostenibilità implementando l’Agenda 2030 Transforming our World, per ripensare e riformulare i valori, le missioni e le strategie dei musei alla luce di nuovi approcci sostenibili.
Una realtà internazionale più propriamente rivolta all’ambito ecomuseale è senz’altro quella nata nell’ottobre del 2016: “EU-LAC-MUSEUMS: Museums and Community: Concepts, Experiences, and Sustainability in Europe, Latin America and the Caribbean”, un progetto di ricerca e analisi comparate (in collaborazione con ICOM e finanziato dal programma europeo Horizon 2020) che indaga musei medio-grandi e piccoli e le loro rispettive comunità di riferimento, sia in Europa (ad oggi (Portogallo e Svezia) che nelle regioni del Sud e Mesoamerica e dei Caraibi. Eulac infatti sta per “Europe, Latin American and the Caribbean”. Il fine è quello di sviluppare un approccio integrato allo studio dei musei che sia storico e teorico. Tra gli obiettivi, quello di ricercare idee ed esperienze di sostenibilità, stimolare lo sviluppo sostenibile e l’inclusione sociale nel settore museale in aree rurali lontane e nelle isole attraverso il dialogo tra accademici, policy makers, musei e comunità locali.
Teresa Morales Lersch, professoressa e ricercatrice al National Institute of Anthropology and History of Mexico, e parte del team EULAC sostiene che “l’atto di auto-interpretazione collettiva è un atto creativo, affermativo e trasformatore insieme” e che “la memoria collettiva della comunità si ricrea e si espande continuamente. […] Una comunità che riesce a raccontare la propria storia sviluppa strumenti per definire i suoi progetti e difendere i propri interessi. Molti musei di comunità infatti sono il prodotto di mobilitazioni di comunità locali che difendono il loro diritto di gestire il loro patrimonio.” In America Latina, la consapevolezza di appartenere a una comunità assume un significato molto diverso dai paesi europei. Si porta dietro un significato di resistenza e di lotta alle violenze coloniali e alla gentrificazione selvaggia. “Il progetto di creare un museo di comunità”, spiega Morales, “nasce da interessi profondi e dalle preoccupazioni sulla posizione di svantaggio che una comunità ha rispetto ai processi della globalizzazione, così come dal bisogno di vedersi riconosciuti valori ed esperienze”. In queste realtà, riconosce Davis (team EULAC), “gli ecomusei e i musei di comunità si sono spesso originati laddove comunità, cultura e natura erano sotto attacco. Gli attacchi venivano dalla mancanza di lavoro, dal declino delle industrie tradizionali, dall’emigrazione e dallo spopolamento”. È questo il caso del Museo Comunitario Indigeno Yimba Cajc (Rey Currè) in Costa Rica, nato dalle lotte sul territorio degli anni Ottanta e aperto nel 2015, descritto come il luogo in cui “la memoria delle persone è raccontata con la voce e con il lavoro degli abitanti”. Oppure del Centro Cultural Museo y Memoria de Neltume in Cile, che racconta la storia del suo territorio forestale e della sua comunità montana, nata dall’azione di sfruttamento industriale della foresta originaria, e che occupa niente più che gli spazi di una casa, oggi in attesa di essere dichiarata monumento storico. EULAC ha messo a disposizione la consultazione gratuita dello studio “On Community and Sustainable Museums”, in cui è presente una prima sezione di ricerca e una seconda sezione che illustra le varie esperienze di ecomusei e musei di comunità nella zone EULAC di riferimento. |
L’ Ecomuseo nel contesto italiano
Nel contesto italiano, lo squilibrio tra gli investimenti nell’immateriale (come la formazione, la ricerca e la progettazione a lungo termine) e quelli nei beni materiali (ad esempio quelli immobiliari) rischia di produrre a lungo termine uno scollamento tra queste e i loro pubblici. Siamo sicuri che la forma museale classica, come la conosciamo e come siamo sempre stati abituati a conoscerla, sarà quella che in qualche modo soddisferà le esigenze culturali di tutti? Possiamo affermare, in accordo con numerosi museologi, che quello ecomuseale potrebbe essere un modello da seguire da parte di quei siti culturali italiani considerati “minori”, proprio in virtù dell’immensa varietà di pratiche, oggetti, storie e persone che compongono il “nostro” patrimonio.
Gli ecomusei fanno sì che la comunità non entri semplicemente “in gioco” (come farebbe con qualsiasi politica di audience engagement dall’alto), ma cessi persino di essere mero “pubblico”, diventando invece co-gestore e punto di riferimento per l’istituzione stessa, che diventa, in modo naturale, promotore di sviluppo socio-culturale e di crescita intellettuale e relazionale.
Tra i molti ecomusei presenti in Italia possiamo segnalare l’ecomuseo urbano Mare Memoria Viva a Palermo, con più di 1200 mq di superficie, che occupa gli spazi di un ex deposito di locomotive ottocentesco. A Roma, nel V Municipio, l’Ecomuseo Casilino invece, si occupa di “ri-valorizzare le aree agricole, naturali e archeologiche contro il progressivo aumento dell’edificazione”, ricercando alternative propositive al consumo di suolo, recuperando le tracce del patrimonio storico-architettonico e archeologico anche attraverso “la ricucitura delle connessioni esistenti tra città e campagna”. Oltre agli ecomusei urbani, c’è poi tutto un altro insieme di realtà completamente immerse nel paesaggio naturale: l’ecomuseo terra del Castelmangno, l’Ecomuseo Val del Lago, l’Ecomuseo del Casentino , l’Ecomuseo della Martesana e tanti altri.
Dobbiamo pensare agli ecomusei non come mete esotiche, lontane dal turismo di massa. Ma come quei luoghi che lo mettono in crisi. Che propongono modelli sostenibili diversi che possono coinvolgere in modo capillare la cittadinanza, anche laddove non arrivano le grandi collezioni.
Anche l’obiettivo potrebbe apparire una mera creazione-rafforzamento di un’“identità”, è chiaro come questa sia qui svincolata da mere questioni di “appartenenza territoriale”, ma piuttosto appaia incentrata sulla condivisione e la valorizzazione di un bene comune, basata sulla sostenibilità e sulla responsabilità collettiva. Se si teme di chiudersi in un reazionarismo culturale, in realtà gli ecomusei hanno la capacità di sostenere proprio il contrario: cioè che territorio, cultura e relazioni cambiano continuamente, tengono ciò che c’è di buono nel vecchio e si arricchiscono con il nuovo.
Un’idea statica della cultura è praticamente un ossimoro vivente. Come scrive bene François Jullien: “la specificità del culturale, a qualunque livello si consideri, è di essere plurale e allo stesso tempo singolare. […] Non esiste una cultura dominante senza che si formi anche (e subito) una cultura dissidente (underground, ‘off’, ecc.). […] La trasformazione è alla base del culturale ed è per questo che non si possono fissare delle caratteristiche culturali né si può parlare dell’identità di una cultura”.
E questo, le esperienze ecomuseali lo potrebbero dimostrare bene.
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