L’Elefante procedeva tranquillo al suo passo: tra poco sarebbe arrivato al Grande Lago e avrebbe potuto finalmente ristorarsi, immergendosi nelle acque fresche.
Il sole bruciava e l’aria era ferma.
Il silenzio venne rotto da un rumore di fondo: sordo, crescente.
L’Elefante si fermò e lentamente si girò in direzione del rumore. Si vedeva polvere. E una nuvola di fumo che saliva al cielo. Poi, all’improvviso, comparve nitida la colonna di animali. Gazzelle, leoni, tigri, pantere, zebre, giraffe. E poi babbuini, iene, sciacalli. Tutti. Correvano. Anzi, fuggivano.
L’Elefante, sorpreso, alzò la proboscide come per fermare la giraffa che stava arrivando al galoppo.
«Che sta succedendo?», chiese.
La giraffa era spaventata. Rallentò senza fermarsi. «Il fuoco, il fuoco…», ripeteva.
Era scoppiato l’incendio nel bosco.
L’Elefante riprese il cammino, accelerando l’andatura. Poi, anche lui contagiato dagli altri che lo sorpassavano di corsa, li imitò, mettendosi a trotterellare, nonostante le rive del Grande Lago, ormai, si stagliassero nette a pochi metri. Lì, tutti gli animali, sarebbero stati in salvo.
Ma stavolta la vista del Grande Lago era diversa dal solito. C’era tutto un via-vai di uccelli. Arrivavano in volo, scendevano dolcemente, sfioravano l’acqua e poi si rialzavano e riprendevano il volo.
L’Elefante non capiva.
Ne vedeva stormi continui sopra di lui: venivano dal bosco e si dirigevano al lago. Poi altri stormi: venivano dal lago e ritornavano al bosco. Erano uccelli grandi e piccoli, di ogni forma e colore, e sembravano indaffaratissimi. Non smettevano di volare avanti e indietro.
L’Elefante, intanto, era giunto sulla riva del Grande Lago. Con la proboscide stava aspirando dell’acqua da buttarsi addosso.
In quel momento, vicino a lui, notò un Colibrì: aveva completato il suo ennesimo volo e stava riprendendo fiato per ripartire.
«Mi spieghi cosa sono tutti questi voli avanti e indietro in direzione del bosco?».
«Non lo sai? C’è il fuoco, laggiù».
«Infatti. Per questo tutti gli animali sono fuggiti».
«Già, le fiamme si stanno mangiando le piante. Bisogna fermarle…».
«Certo. E voi uccelli cosa c’entrate?».
«Non vedi? Prendiamo in bocca l’acqua del lago e la portiamo nel bosco: la buttiamo sulle fiamme».
L’Elefante credette di non aver capito.
«Prendete in bocca l’acqua dal lago e la portate nel bosco?».
«Già».
«Anche tu?».
Il Colibrì alzò le piume, tutto orgoglioso, e sembrò che i suoi colori diventassero ancora più lucenti: «Anch’io, certo. Sono un uccello come gli altri, non vedi?».
L’Elefante non seppe resistere: «Ma come puoi pensare di farcela, tu così piccolo, a spegnere un incendio…?».
Il colibrì si rizzò, impettito: «Non sono solo, siamo in tanti. Lo vedi, ci sono uccelli di ogni forma, con becchi grandi e piccoli».
«Ma non ci riuscirete mai…».
Il Colibrì mise fine alle chiacchiere. Il tempo era prezioso: era in ritardo e sapeva di dover riprendere il suo lavoro. Prima di spiccare il volo per raccogliere l’acqua dal lago nel suo piccolo becco, salutò l’elefante.
«Forse hai ragione, Grande Elefante. L’incendio si sta allargando e le piante che stanno bruciando aumentano…»
L’Elefante insistette: «E allora è tutto inutile»
Il Colibrì aprì le ali: «Può darsi. Ma bisogna che qualcuno salvi gli alberi ancora in vita. Se anche non ce la faremo, io e gli altri uccelli intanto ci avremo provato».
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Massimo Ferrario, riscrittura originale di un racconto antico, di autore anonimo, riportato in parecchi libri.
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