Otto bambini nati grazie al trapianto di utero
La notizia e la tecnica rese note a un congresso di chirurgia di Udine alla presenza di grandi esperti. Finora l’intervento possibile soltanto in Svezia. Applicazioni innovative anche per il trapianto di rene e fegato.
Jonathan è un bel bambino biondo di tre anni, del tutto simile ai suoi coetanei. È però figlio (è proprio il caso di dirlo) di una tecnica chirurgica sperimentale realizzata a Goteborg (Svezia) che ha consentito il trapianto dell’utero in una donna priva dell’organo, che grazie all’intervento ha potuto avere una gravidanza normale e diventare mamma.
Dopo di lei altre sei donne hanno beneficiato del trapianto di utero. I medici svedesi autori dei trapianti hanno portato la loro esperienza al Congresso dal titolo “HPB Surgery: Udine meets the experts”, in cui sono state descritte le tecniche di trapianto anche di fegato e rene. «Il trapianto di utero è una realtà consolidata, anche se per il momento è limitata al Sahlgrenska University Hospital di Goteborg.
Le gravidanze ottenute con successo hanno dimostrato la fattibilità e l’utilità del progetto, quindi si tratta di una strada che può dare risultati su più ampia scala» commenta Andrea Risaliti, Direttore della Clinica Chirurgica e del Centro trapianti fegato, rene e pancreas dell'Azienda ospedaliero-universitaria di Udine e Presidente del Congresso. «Si tratta di una nuova sfida che dimostra come la trapiantologia abbia ottenuto progressi significativi. Lo sottolineano anche i risultati presentati relativi alla chirurgia robotica, che rappresenta la sfida del futuro. Mentre la laparoscopia ha ormai cambiato la chirurgia anche nei trapianti, la robotica rappresenta l’ultima evoluzione. Si tratta di una nuova sfida e un nuovo sguardo al futuro, anche se non nell’immediato. Per quanto riguarda i trapianti di fegato, le prospettive future riguardano soprattutto le tipologie di pazienti candidati all’intervento. Fino a poco tempo fa il maggior numero di trapianti riguardava le persone con epatite C, che per fortuna oggi, a meno di severi danni al fegato che richiedano il trapianto, possono beneficiare di terapie farmacologiche efficaci e risolutive. Oggi la nostra attenzione va alle persone con tumore, spesso causato da metastasi di un tumore colorettale o di origine vascolare, che in precedenza presentavano maggiori difficoltà e rischi per un trapianto di fegato. Oggi invece nuovi sviluppi tecnologici e farmacologici consentono di allargare il numero di pazienti con questa patologia candidati al trapianto».
Al simposio di Udine era presente anche Randa Akouri, ricercatrice del Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia del Sahlgrenska University Hospital di Goteborg, che ha ripercorso la storia dei trapianti di utero. «Il progetto è nato agli inizi degli anni Duemila, è proseguito negli anni successivi con ricerche e sperimentazioni, per giungere al 2012 con l’approvazione del Comitato Etico dell’Università di Goteborg relativo all’intervento di trapianto su una donna di 35 anni affetta da sindrome di Mayer-Rokitansky-Kuster-Hauser, una condizione congenita caratterizzata dalla mancata formazione, totale o parziale, della vagina e dell’utero» spiega Akouri. «La donatrice fu una donna di 61 anni, e dopo un anno dal trapianto fu possibile effettuare una fecondazione embrionale grazie alla quale la donna ricevente ha potuto avere una gravidanza e un parto normale, avvenuto nel settembre 2014. Nel novembre dello stesso anno sono stati effettuati altri due trapianti, grazie alla donazione degli uteri da parte delle madri delle due donne. In totale sette donne sono state sottoposte al trapianto. Tutte hanno avuto mestruazioni regolari due mesi dopo l’intervento e il trasferimento di embrione è stato iniziato 12-16 mesi dopo il trapianto. Successivamente, sei delle sette donne hanno partorito otto bambini, cinque maschi e tre femmine. Solo una donna non ha avuto un figlio, è rimasta incinta ma ha avuto diversi aborti spontanei, mentre due donne hanno avuto due parti ognuna. I bambini sono nati di peso normale e hanno avuto uno sviluppo normale, per cui in conclusione abbiamo sviluppato una tecnica chirurgica sicura per il trapianto di utero» prosegue Akouri.
I prossimi passaggi prevedono la stesura di un protocollo per la donazione di utero dopo il decesso, la creazione di organi grazie alla bioingegneria e l’utilizzo della chirurgia robotica, che consentirebbe di intervenire in modo meno invasivo, utilizzando tecnologie simili a quelle impiegate in alcuni casi, come per esempio in presenza di tumore alla cervice uterina.
Edoardo Stucchi
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