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Testamento Biologico

Testamento biologico. Mina Welby a San Giuliano

Mercoledì 29 Aprile presso l'aula consiliare si è tenuta una interessante iniziativa dei giovani democratici di San Giuliano Milanese, guidati da Matteo Cervi, che ne è il segretario, alla prima uscita per il primo dei 10 temi che si ripromettono di affrontare nel prossimo futuro.

Si è parlato di testamento biologico e di eutanasia “legale” intorno a un tavolo dove era seduta Mina Welby, moglie di quel Piergiorgio Welby, che “vinse” la sua battaglia nel 2006, dopo 9 anni di lotta con la legge. Insieme a lei, Marco Cappato, del Partito Radicale, Consigliere al Comune di Milano e Presidente dell'associazione Luca Coscioni, – Pierfrancesco Maiorino – Assessore alle politiche sociali del Comune di Milano e Maria Morena Lucà, Assessore alla Cultura e alle politiche di genere del Comune di San Giuliano.

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Ci si poteva aspettare una più numerosa partecipazione, dato il tema che sembra interessi molto l'opinione pubblica…a quanto pare solamente quando succede un caso portato alla ribalta dai Media. Passato il momento..tutto tace. Ma non tutti tacciono. Ci sono persone che lavorano affinché le cose cambino. Affinché le voci di malati spesso senza speranza di guarigione, siano ascoltate. Nel caso di Luca Coscioni, di cui hanno dato il nome all'Associazione che si batte per loro, questa malattia è la SLA, Sclerosi Laterale Amiotrofica. Una malattia che purtroppo porta alla morte. Con una forte sofferenza. La lotta verte alla richiesta di libertà di ricerca scientifica e sostiene le campagne per la libertà di cura per le malattie ora inguaribili. Fino ad arrivare alla libertà di Eutanasia e contro la terapia medica a tutti i costi, contro la volontà del malato. Ciò che chiedeva Piergiorgio Welby fin dal 1997, all'età di 52 anni, quando le sue condizioni peggiorarono. Lui sapeva fin dall'età di 16 anni di avere la distrofia muscolare. Una malattia che progredisce lentamente, che porta a non camminare e poi a non parlare e non muoversi. Ma con una mente lucida.
La signora Welby racconta la storia del marito a partire da quell'anno, il 1997. Quando sopravvenne una crisi respiratoria. Contro il suo consenso fu attaccato a un respiratore automatico, ma successivamente acconsentì all'unico rimedio per sopravvivere: la tracheotomia. Condizione però che lo porto a chiedere insistentemente di “staccargli la spina”. E a questo punto arrivò la legge in vigore a vietarlo.. In condizione di alti e bassi visse fino al 2008. 9 anni vissuti a combattere con la propria voce e quella di altri, le leggi. Attraverso un blog aprì un Forum sull'eutanasia, aprendo un acceso dibattito. Il fine era l'approvazione di una legge che consenta il rifiuto dell'accanimento terapeutico. Ma anche del poter decidere della fine della propria vita a secondo delle situazione di malattia in cui ci si trova. A dicembre del 2006 il Tribunale di Roma respinse la sua richiesta, di staccargli il respiratore. Ma giorno 20 dello stesso mese, un medico anestesista, da Welby contattato, si è reso disponibile. lo ha sedato e poi ha staccato il respiratore. Come da sua richiesta.

Insieme al Marco Cappato Mina Welby ha fondato l'Associazione S.O.S. Eutanasia. Per coloro che volessero andare nei paesi che acconsentono a finire la vita “non vivibile” in modo dignitoso.

In sala consiliare dopo la testimonianza sono susseguiti diversi interventi. Mi è rimasto impresso quello di un medico, dove a un certo punto ha detto che la politica “deve lasciar fuori la chiesa cattolica” e legiferare a favore dell'Eutanasia. E' solo la Chiesa che difende la vita a tutti i costi? Un altro medico, dichiaratosi cattolico e contrario all'eutanasia attiva o passiva, ha confessato le proprie perplessità sulla materia. Auspicando una maggiore alleanza terapeutica e una maggiore conoscenza medico-paziente prima di una qualsiasi decisione. Pazienti che non sono tutti uguali. Malattie che non sono tutti uguali. Terapie che non possono essere uguali per tutti.

Personalmente, non riesco a pronunciarmi. Ho sempre pensato che è facile dare la propria opinione su qualcosa che tocca altri. Per cui, “poverino, se deve soffrire così..staccate quella spina, meglio che muoia, dignitosamente, quella non è vita”.Ma sono inorridita alla decisione di una giovane donna americana che ha deciso di porre fine alla sua vita perché aveva una malattia ereditaria che poteva portarla alla morte..ma tra quanto tempo? Cosa si è persa della vita? O la famosa attrice che un poco alla volta si sta menomando il corpo per prevenire eventuali malattie,
Ma se toccasse me una grave malattia? Come reagirei? E' giusto o egoistico lasciare la decisione della mia vita o della mia morte ad altri?

E voi, lettori di recsando, cosa ne pensate?

Redazione Recsando. Angela Vitanza

 

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